La mia poetica Lea Monetti
Poetica Lea Monetti
Generalmente non amo fare introspezioni e riflettere su me stessa e di miei perché.
Per me la vita è un “odore “, ed io non faccio altro che seguire questo profumo. Lo riconosco ovunque perché, sentirlo, mi da un leggero capogiro ed il polso mi batte più velocemente cosicché non posso fare a meno di seguirlo anche se apparentemente mi porta fuori dalle grandi linee del disegno originario.
È solo guardando a distanza che vedo la coerenza di un tracciato vitale che volge tutto al medesimo fine: tessere che si compongono come in un disegno prestabilito. Allora provo una emozione religiosa verso questo mistero che attraverso passi sghembi lentamente completa quell’opera gotica che e’ la mia vita.
Guardando il panorama dell’arte e della critica contemporanea ho l’impressione di essere un caso a parte. Certe volte mi diverto a mettermi nei panni di un critico e cerco di immaginare i personaggi che verrebbero chiamati in causa, della filza di citazioni che sembrano così necessarie per rendere apprezzabile una critica o credibile l’opera di un artista. Perché opero così? Questo me lo sono chiesto, anzi, la risposta l’avevo già data anni fa e ancora 10 anni prima quando scrissi “è tanto il godimento della compenetrazione che deve nascere qualcosa e ogni quadro è figlio mio e della natura e porta i segni di tutti e due”.
È sempre un atto d’amore quello che si stabilisce fra me e ciò che ho intorno, un atto materno e mistico verso tutta la meraviglia del creato un incantamento che diventa contemplazione, smemoramento, e si traduce in un impulso a fermare la bellezza, il tempo, la vita. L’unico strumento per tentare questo miracolo è l’arte figurativa. E poi, secondo l’oggetto del mio innamoramento, la necessità del “mezzo”: ed ecco il disegno, il colore, le varie tecniche del colore (tutte), La scultura. In pochi casi ho sentito la necessità di sconfinare nell’astratto e nel concettuale. Non desidero affermare me stessa ma ciò che mi sta accanto e mi emoziona in quel momento. Qualsiasi forma di distorsione della realtà la sento come violenza ed io non potrei mai fare, consapevolmente, violenza a nessuna cosa che esiste. Ammiro molto in verità e senza riserve, tutte le espressioni d’arte che si sono accavallate nel tempo: gli ismi, gli aforismi, le peculiarità e le astrazioni, ma io ho necessità di rispettare la bellezza e l’armonia naturale: “Voglio parlare con molta educazione, con rispetto ed emozione di qualsiasi cosa, e senza enfasi. I ruoli si scambiano in metamorfosi sottili. Qualsiasi cosa, sono sicura, parlerà del mistero che la unisce a tutto ciò che esiste”.
Questo lo scrissi al Venturoli qualche anno fa e lo scrivo oggi e forse anche domani, chissà, il futuro è una pagina bianca.
Lea Monetti
Monografia Ed.ni Bora
1988Logge Vasari, Arezzo
…ma la mia storia vera è quella della mia smemoratezza…in quello che è dipinto in ogni mio quadro…
Monografia 1980 “La mia Maremma”
Dichiarazione poetica
Dicono che i quadri non bastano da soli a presentarsi o perlomeno che non è cosa per una mostra che si rispetti; vorrei credere di si perché dipingere è, del miei modi di comunicare, certamente il più veritiero.
E chi può presentare me? Chi mi conosce tanto da poter dire nei suoi scritti più di quanto si possa leggere nelle mie opere?
Gli amici, forse. quelli che, nonostante gli anni mi sono ancora amici, ed io, anche se non so niente di me o quasi.
So che venero tutti gli artisti di tutte Ie arti di tutti i tempi. Che adoro il violino, Beato Angelico e Masaccio, Leonardo e Caravaggio, Cristo e Witman, Shakespeare ed Hesse, l’amore di madre Teresa ed il dolore di Pasolini. Piango la morte degli artisti e quindi degli scienziati, del poeti e di tutti quelli che hanno molto amato.
Mi ha detto il Mantura che la pittura è morta, il suo potere espressivo esaurito: a volte lo penso anche io ma ritengo immortale la ricerca dell’arte per l’arte e dell’uomo per l’uomo, ovvero, dell’arte per l’uomo e dell’uomo per l’arte.
Ho scritto che la misura dell’uomo non è la superficie ma la profondità; se guardo dentro me ho un senso di vertigine.
La mia radice certa è nella palude, questo l’ho sempre sentito e ci ritorno ogni volta con fame, con sete. Ci entro dentro trasognata, immemore, come nel grembo di una grande madre.
La mia identità nel padule si disperde e sono tutto: sono lo stato d’animo di un ambiente primordiale. il cielo, l’acqua, il fango, l’airone, iI ramo contorto e disseccato, il cinghiale, il cavallo, la volpe, Ia lucertola, la formica, il pesce che salta, il bruco.
Se dipingo è solo perché è così grande il godimento della compenetrazione che deve nascere qualcosa e ogni quadro è figlio mio e della natura e porta i segni di tutti e due.
Dell’uomo non sono curiosa.
Ciò che amo dell’uomo è l’anima, per questo amo gli occhi della gente. L’anima è il mare, la palude, il cielo, l’anima è innocente e universale.
Si dice che nei miei ritratti prendo l’anima delle persone e Ia porto a galla: non è vero (vorrei solo afferrare il mistero).
Come si può dare una forma all’anima della gente? L’anima non ha una forma che può essere definita. Solo i grandi artisti hanno la capacità di realizzare le forme molteplici della propria anima e questo costa loro un dolore da dannati.
Ciò che ritengo importante è la ricerca di me stessa e la verifica del mio rapporto con le cose, questa verifica me la dà la pittura. Ciò che dice un quadro finito mi sorprende sempre, perché è la mia verità. In questa mostra ho riunito tutti i quadri sul padule che ancora posseggo e sono gli ultimi atti di amore smemorato. Ora temo di essere nuovamente nata dal ventre di questa grande madre che sta morendo.
Gli uomini la soffocano e la sommergono di plastica, catrame, cemento; il mare la divora.
Se prima la palude mi isolava dall’uomo, ora lei stessa, amaramente me lo ripropone. Dal nostro amore nasce qualcosa di diverso e questa, questa mostra, probabilmente sarà l’ultima testimonianza di una felicità perduta.
L’esecuzione della crocefissione ancora mi ha riproposto l’uomo. Il Crocefisso schiude gIi occhi per l’ultimo sguardo: ha il viso di un uomo, amico, compagno, sconosciuto, animale, albero, innocenza, amore.
A pochi chilometri si lavora per una centrale nucleare.
Questi quadri rimasti hanno per me quasi il sapore di un sogno.
Poetica Lea Monetti
Lea Monetti